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Resoconti dell'attività DOI: 10.38023/9ae7744a-715a-499c-bf8b-0b905b89278f

Il congiuntivo: modus non gratus negli atti normativi?

Giovanni Bruno

Citazione: Giovanni Bruno, Il congiuntivo: modus non gratus negli atti normativi?, in: LeGes 36 (2025) 2

Le guide alla scrittura degli atti normativi emanate dalle istituzioni italiane raccomandano unanimemente di evitare il modo verbale del congiuntivo, considerato fonte di ambiguità e incertezza, e di usare al suo posto l’indicativo. L’applicazione rigorosa e irriflessiva di questa regola può tuttavia portare non solo a usi scorretti della lingua, là dove il congiuntivo è richiesto dal contesto sintattico-semantico, ma anche a problemi di comprensione, applicazione e interpretazione della norma. La raccomandazione di evitare il congiuntivo, sebbene in taluni casi ciò permetta in effetti di evitare dubbi e incertezze, va intesa cum grano salis, rispettando le funzioni semantiche del congiuntivo, il quale talvolta può costituire proprio l’elemento che, magari meglio di altri, garantisce la chiarezza dell’enunciato e, in ultima analisi, la certezza del diritto.


Indice

1. Introduzione

[1]

Gli strumenti di legistica formale messi a disposizione di chi scrive atti normativi in lingua italiana, dalle guide alle istruzioni, dai manuali alle direttive e opere simili (che qui chiamerò genericamente «guide»), e in special modo quelli prodotti dalle istituzioni italiane per i testi dei diversi livelli statali della Repubblica, consigliano, raccomandano, suggeriscono o prescrivono, all’unanimità, di usare negli atti normativi l’indicativo al posto del congiuntivo. Alcune guide sconsigliano l’uso del congiuntivo ma lo dichiarano comunque obbligatorio quando è la lingua (italiana) stessa a richiederlo.

[2]

Questa perentorietà nel voler escludere per quanto possibile questo modo verbale dagli atti normativi solleva qualche interrogativo quando si esaminano esempi concreti. Il presente contributo intende mostrare come l’applicazione pedissequa della raccomandazione di evitare il più possibile il congiuntivo in questa tipologia testuale possa comportare qualche difficoltà in sede di lettura, applicazione e interpretazione della norma. Vi sono casi in cui l’uso del congiuntivo è generalmente obbligatorio, sia nel linguaggio comune che in quello normativo, in quanto i verbi in questione si trovano in frasi non autonome introdotte da determinate congiunzioni (v. sotto). In questi casi anche il parlante medio ne censura l’omissione. A questo proposito Serianni 2006 parla di «pudore linguistico», ossia «percezione della correttezza linguistica da parte dei parlanti e conseguente reattività nei casi di violazione di norme comunemente condivise [...]» (40). E infatti «[…] l’utente di una lingua, anche analfabeta, sa che alcune esecuzioni violerebbero irrimediabilmente lo statuto di quella lingua [...]» (41). È tuttavia proprio quando il congiuntivo non è obbligatorio, ma costituisce un’alternativa all’indicativo sul piano semantico, che questo modo verbale può essere l’elemento che garantisce la certezza del diritto.

[3]

Nel suo libro dedicato alla modernizzazione del linguaggio amministrativo, comunque vicino e affine a quello giuridico, a cui spesso e volentieri si ispira, Cortelazzo 2021 auspica un «recupero di naturalezza» che implica, fra le altre cose, la rinuncia – per quanto possibile – al congiuntivo in favore dell’indicativo. Tale rinuncia, tuttavia, «carica l’indicativo di valori semantici che si aggiungono a quelli primari e lo rendono un modo semanticamente più complesso di quanto sia in altre varietà di lingua. Diventa necessario utilizzare altri segni (per esempio avverbi […]) per recuperare le distinzioni semantiche prima date dai modi.» (163).

[4]

La rinuncia al congiuntivo non sembra dunque del tutto pacifica. Il giudizio globale dell’autore sulle guide da lui esaminate, anche al di là dell’uso dei modi verbali, «è ambivalente: se sono utilissimi strumenti di primo orientamento pratico per lo scrivente poco esperto, che si troverebbe in difficoltà di fronte a trattazioni più critiche, corrono però il rischio di irrigidire in precetti imperativi un processo comunque creativo quale è quello della scrittura, anche quando si tratta di una scrittura fortemente vincolata come quella amministrativa.» (193). E, aggiungerei, come quella giuridica, in particolare la scrittura degli atti normativi.

2. Il congiuntivo nel linguaggio comune

[5]

Non può certo essere questa la sede per un’analisi approfondita dell’uso del congiuntivo nel linguaggio comune. Mi limito a rimandare ad alcune pubblicazioni che trattano il tema con autorevolezza e rigore, ma anche con un intento didattico e divulgativo: Della Valle/Patota 2009, Sgroi 2013, Chiappini/De Filippo 2014 e Mancini/Marani 2015.

[6]

Per un breve accenno all’uso del congiuntivo nel linguaggio comune mi riferisco al classico studio di Della Valle/Patota 2009. Gli autori constatano che la «Vulgata grammaticale dice che il congiuntivo esprime l’universo del dubbio, il magma della soggettività, i movimenti dell’anima, la volontà di chi parla». Ma, precisano, è rischioso generalizzare questa affermazione in quanto il congiuntivo «non ha un valore univoco, ma molti valori, molte funzioni, molti usi e molti significati.» E quindi «non solo è difficile usare il congiuntivo; è anche difficile stabilire con esattezza in quali contesti comunicativi esso possa essere sostituito dall’indicativo senza sbagliare.» (72 seg.). Vi sono tuttavia casi in cui l’uso del congiuntivo è obbligatorio, vale a dire nelle frasi non autonome, cioè che dipendono da un’altra frase, introdotte da: a condizione che, ammesso che, a patto che, casomai, laddove, nelleventualità che; ove, qualora, purché, sempreché (o sempre che); affinché; benché, malgrado, malgrado che, nonostante, nonostante che, per quanto, quantunque, sebbene, seppure; a meno che (non), eccetto che, fuorché; salvo che, tranne che; senza che; prima che (88–92).

[7]

Non usare il congiuntivo in combinazione con una di queste parole o espressioni sarebbe inaccettabile per chiunque. Ma, come vedremo, proprio il pronome «chiunque», come relativo-indefinito, rappresenta un caso eccezionale per quanto concerne il congiuntivo negli atti normativi.

3. Il congiuntivo nei testi giuridici e amministrativi

[8]

L’approfondita analisi di Mortara Garavelli 2001 ha messo in luce che il congiuntivo è assente nelle frasi indipendenti, il che significa che «non si trovano nei testi legislativi frasi interrogative dirette dubitative, frasi principali ottative, esortative, permissive. Nelle subordinate il congiuntivo o è ‹grammaticalizzato› (in quanto determinato automaticamente dalla presenza di altri elementi cotestuali), cioè è richiesto dalla reggenza del verbo da cui la frase dipende [...]; o è portatore di modalità svariate [...]. In ogni caso, l’uso del congiuntivo nelle subordinate, nei testi legislativi, non si discosta dai valori che lo caratterizzano in ogni altro discorso (scritto) caratterizzato da un alto grado di formalità.» (115 seg.). Il congiuntivo, quindi, di per sé non dovrebbe costituire un ostacolo alla scrittura di testi normativi chiari.

[9]

Dal canto suo Lubello 2021, dopo aver constatato che nei testi giuridici di carattere generale si riscontra una «maggiore presenza del congiuntivo nelle subordinate rispetto allo scritto di media formalità, oltre che al parlato […]», afferma che «l’imperatività tipica delle norme giuridiche si evince dal netto dominio dell’indicativo anche nelle strutture ipotattiche, mentre il congiuntivo è assente nelle frasi indipendenti.» (58). Peraltro «l’alta leggibilità» del testo della Costituzione della Repubblica Italiana è garantita da una serie di accorgimenti a livello sintattico e, in particolare, dall’uso dell’indicativo presente con valore prescrittivo e nella scarsissima presenza del congiuntivo e del gerundio (81). L’uso parsimonioso del congiuntivo potrebbe dunque essere una possibilità per rendere più chiaro il testo di legge, meno ambiguo. A condizione, ovviamente, di usare in maniera corretta il modo verbale alternativo, l’indicativo, che pare meno sospetto quanto all’uso corretto ma può celare problemi proprio nel confronto interrelato con il congiuntivo.

[10]

Spostandoci nel campo dei testi a carattere amministrativo e burocratico, vediamo che Cortelazzo 2021 si sofferma sulla questione del congiuntivo a proposito di due delle «Trenta regole per una buona scrittura amministrativa», formulate in una precedente pubblicazione (Cortelazzo/Pellegrino 2002). In merito alla Regola 22 («Preferite i tempi e i modi verbali di più largo uso») l’impiego dell’indicativo al posto del congiuntivo è sì raccomandato, ma si fanno alcune opportune puntualizzazioni: «L’indicativo è il modo verbale più diffuso e di più facile comprensione. È perciò preferibile costruire frasi che richiedono l’indicativo, invece di frasi che richiedono il congiuntivo o il condizionale. Tuttavia, in certi contesti sintattici il congiuntivo è obbligatorio: per esempio le proposizioni finali richiedono sempre il congiuntivo […]. In molti altri casi, però, basta scegliere la congiunzione adatta per poter utilizzare l’indicativo senza infrangere le regole grammaticali. La frase ‹Qualora il trentesimo giorno cada di domenica, la scadenza è prorogata al giorno successivo› può essere sostituita dalla seguente, equivalente dal punto di vista del significato, ma più facile da leggere: ‹Se il trentesimo giorno cade di domenica, la scadenza è prorogata al giorno successivo›.» (156).

[11]

A proposito della Regola 23 («Preferite preposizioni e congiunzioni semplici») l’autore spiega le implicazioni della scelta di talune congiunzioni con riguardo alla raccomandazione di evitare il congiuntivo: «Nel caso delle congiunzioni, scegliere la variante semplice può avere risvolti positivi anche sull’uso del modo verbale, in quanto spesso le congiunzioni complesse richiedono il congiuntivo, mentre quelle semplici l’indicativo» (157); l’esempio presentato dall’autore contrappone la congiunzione complessa «nel caso in cui» alla semplice «se».

[12]

Le raccomandazioni fornite qui sopra, giustamente volte a preferire tendenzialmente l’indicativo per garantire la chiarezza, sono senz’altro atte a gettare le basi per formulazioni univoche e il più possibile prive di ambiguità. Bisogna però che lo sforzo programmatico di evitare il congiuntivo, e le congiunzioni che lo richiedono, non vadano a complicare inutilmente la sintassi e l’impianto espositivo, introducendo così nuove incomprensioni, incertezze e dubbi, specie là dove l’uso del congiuntivo permette invece di formulare enunciati del tutto chiari e univoci.

4. Il congiuntivo nelle guide ufficiali alla scrittura di testi normativi

4.1. Guide delle istituzioni svizzere

[13]

L’uso del congiuntivo negli atti normativi non è oggetto delle guide alla scrittura ufficiale e giuridica a livello della Confederazione. Non vi accennano né la «Guida di legislazione» (Ufficio Federale Di Giustizia 2019), né le «Direttive di tecnica legislativa (DTL)» (Cancelleria Federale Svizzera 2023a), né le «Istruzioni della Cancelleria federale per la redazione dei testi ufficiali in italiano» (Cancelleria Federale Svizzera 2023b).

[14]

Non deve stupire il fatto che le DTL, strumento primario della Confederazione in fatto di legistica, non accennino alla questione dell’uso del congiuntivo negli atti normativi: se è vero che per talune questioni segnalano usi divergenti nelle tre versioni linguistiche di un atto normativo, si tratta pur sempre di aspetti piuttosto formali e non linguistici. Va poi notato che la questione del congiuntivo riguarda soprattutto la versione italiana, meno quella francese e affatto quella tedesca (anche se ciò non impedirebbe di per sé che l’argomento fosse trattato, sia pure per la sola versione italiana).

[15]

Né in Ticino né nei Grigioni, le due realtà cantonali in cui l’italiano è lingua ufficiale, sembrano esservi guide istituzionali che trattino l’impiego del congiuntivo nella scrittura giuridico-amministrativa.

4.2. Guide delle istituzioni italiane

[16]

Per una panoramica delle numerose guide sulla scrittura di testi giuridici e amministrativi emanate dalle istituzioni italiane (ed europee), rimando – vista l’impossibilità di offrire un elenco esaustivo aggiornato – agli elenchi, da combinare anche nella loro cronologia, forniti in Libertini (2011), Bruno (2013, 144 seg.), Cortelazzo (2021, 63–66) e Gualdo (2021, 113, nota 24).

[17]

Il «basso continuo» che risuona in questi strumenti, che in parte si rifanno a modelli comuni e talvolta si citano tacitamente a vicenda, con o senza variazioni minime, è la raccomandazione di evitare il congiuntivo negli atti normativi. Riportiamo a mo’ di esempi, e un po’ alla rinfusa seppure in ordine cronologico, alcuni passaggi di una manciata di guide:

  • «[…] l’indicativo è preferibile al congiuntivo o al condizionale, quando non ha riflessi sul senso della frase. Ciò è possibile se, nella scelta delle congiunzioni, si preferiscono quelle più comuni, cioè usate nella lingua parlata (se, anche se, perché, quando ecc.) a quelle di tono più elevato o raro (a condizione che, qualora, ove, purché, benché, dal momento che, affinché ecc.). Queste ultime, infatti, richiedono, di solito, l’uso del congiuntivo.»
    (Fioritto, Alfredo (a c. di), Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione pubblica, Bologna 1997, pag. 46);
  • «Il modo congiuntivo, il modo imperativo, o il modo infinito non si debbono usare per indicare la doverosità dell’azione descritta dal verbo. […] Si sconsiglia […] l’uso delle seguenti forme linguistiche per esprimere l’obbligo positivo: a) il tempo futuro; b) il modo congiuntivo; c) il modo imperativo; d) il modo infinito; e) il verbo ausiliare ‹andare›.»
    (Pattaro E. / Sartor, G. / Capelli A., Codice per la redazione degli atti normativi, www.maldura.unipd.it/buro/manuali/norma.pdf, Padova 1997, pag. 30 seg.);
  • «Il modo verbale proprio della norma giuridica è l’indicativo presente, modo idoneo ad esprimere il comando. Il modo congiuntivo ed il tempo futuro non raggiungono lo stesso effetto, in quanto esprimono l’ipoteticità o la non immediatezza del precetto. In ogni caso, il ricorso a tempi o modi diversi dall’indicativo presente accentua la disomogeneità del testo ed è, perciò, evitato.»
    (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guida alla redazione dei testi normativi. Circolare 2 maggio 2001, n. 1/11.26/10888/9.92 (G.U., S.O., 3 maggio 2001, n. 105, pag. 11; raccomandazione ripresa alla lettera da Repubblica di San Marino, Guida alla redazione dei testi normativi, San Marino 2013, pag. 16 seg.);
  • «Nella formulazione dei precetti è adottata la massima uniformità nell’uso dei modi verbali, la regola essendo costituita dall’indicativo presente, escludendo sia il modo congiuntivo sia il tempo futuro.»
    (Senato della Repubblica, Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, Roma 2001, pag. 15);
  • «Il testo scritto richiede il rispetto del congiuntivo. Dove il contesto lo permette, è opportuno però sostituire il congiuntivo con l’indicativo o con l’infinito. L’indicativo rende il testo più diretto ed evita informazioni implicite o ambigue.»
    (Dipartimento della funzione pubblica, Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi, Roma 2002, pag. 8);
  • «Nella formulazione dei precetti assicurare l’uniformità nell’uso dei modi e dei tempi verbali. Di regola usare l’indicativo presente, evitando l’uso del congiuntivo e del futuro.» (Osservatorio legislativo interregionale, Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi, Abruzzo 2002, pag. 7);
  • «Non si usa il congiuntivo o il futuro per esprimere l’imperatività della norma (‹si faccia›, ‹i destinatari faranno›). Evitare le congiunzioni di tono elevato (qualora, ove), che richiedono il congiuntivo; sono preferibili quelle più semplici (se, quando), che in genere non lo richiedono.»
    (Ufficio di presidenza del Consiglio provinciale di Trento, Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi, Trento 2009, n. 66, pag. 18);
  • «Preferire costruzioni sintattiche che richiedono l’indicativo al posto del congiuntivo. Esempio: Se si verifica non nel caso in cui si verifichi
    (Istituto di teoria e tecniche dell’informazione giuridica e Accademia della Crusca, Guida alla redazione degli atti amministrativi. Regole e suggerimenti, Firenze 2011, pag. 23).
[18]

L’intento di queste raccomandazioni è chiaro: semplificare il linguaggio degli atti normativi e renderli più comprensibili. La rinuncia al congiuntivo a favore dell’indicativo può senz’altro andare in questa direzione, ma generalizzare una simile regola può nascondere insidie che, magari in un secondo momento, pregiudicano la giusta comprensione del testo. Le formulazioni con l’indicativo, usando le congiunzioni adatte (cioè quelle che non richiedono il congiuntivo) possono senz’altro risultare più «piane» e con meno ostacoli. Occorre però che l’uso dell’indicativo non faccia nascere dubbi che l’uso del congiuntivo escluderebbe.

5. Analisi di esempi

5.1. Tre casi particolari

5.1.1. «Chiunque»

[19]

Nel linguaggio comune il pronome «chiunque» come relativo-indefinito (nel senso di «qualunque persona che») richiede il congiuntivo. Come segnala Sabatini ([1990] 2011, 306), nelle disposizioni del Codice penale e nelle disposizioni penali delle leggi speciali, sia in Svizzera che in Italia, è invece seguito dall’indicativo.

[20]

Vediamo due esempi (i corsivi nelle disposizioni citate in questo contributo sono sempre nostri):

art. 2 cpv. 1 del Codice penale svizzero (RS 311.0):

«È giudicato secondo il presente Codice chiunque commette un crimine o un delitto dopo che il Codice è entrato in vigore.»

art. 45 cpv. 1 della legge del 22 giugno 2007 sulla vigilanza dei mercati finanziari (RS 956.1):

«Chiunque, intenzionalmente, fornisce informazioni false alla FINMA, a una società di audit, a un organismo di vigilanza, a un organismo di autodisciplina o a una persona incaricata è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.»

[21]

Non è da escludere che questa violazione di una norma linguistica comunemente condivisa sia dovuta all’intento di semplificare i testi di legge preferendo l’indicativo al congiuntivo. Visto che è una caratteristica molto antica in queste particolari disposizioni degli atti normativi, risalente cioè a un’epoca antecedente all’emanazione di guide alla scrittura di testi giuridici, si potrebbe forse pensare a una intuizione precoce, non condotta tuttavia a termine con il mantenimento di un pronome che parallelamente, nel linguaggio comune, ha sempre continuato a richiedere il congiuntivo. Va detto che in diversi atti più recenti capita di vedere formulazioni del tipo «Chi [+ verbo all’indicativo] … è punito con …». Per motivi di coerenza intratestuale sarebbe però inopportuno usare «chi» (con l’indicativo) nella modifica di un testo che al suo interno conosce soltanto «chiunque» con l’indicativo. È anche una questione di tradizione e di aspettativa (naturale) del destinatario della norma.

5.1.2. «Il fatto che»

[22]

Come abbiamo detto in entrata, riferendoci a Della Valle/Patota 2009, nelle grammatiche il congiuntivo è considerato portatore di dubbi, incertezze, forti soggettività, supposizioni, ipotesi. Ora, cosa ci sarà di meno dubbio, incerto e soggettivo di un fatto, specie quando è sicuro, appurato e scontato? Eppure in combinazione con «il fatto che» viene normalmente usato il congiuntivo: anche nei casi di assoluta certezza circa l’effettività del fatto stesso. Normalmente si dirà «Il fatto che tu abbia sedici anni non giustifica il tuo comportamento», pur essendo il dato verificabile anche sul piano anagrafico, e non «*il fatto che (tu) hai sedici anni...».

[23]

Vediamo due esempi della legislazione federale:

art. 31 dell’ordinanza del 7 ottobre 2015 sugli Svizzeri all’estero (RS 195.11):

«Se viene a conoscenza del fatto che uno Svizzero all’estero si trova in situazione d’emergenza, la rappresentanza può avviare un procedimento d’ufficio.»

[24]

Nel contesto di un atto normativo l’uso dell’indicativo dopo «il fatto che» è senz’altro possibile (come lo si può trovare talvolta nel linguaggio comune). Ma viene da chiedersi se sia necessario. Il congiuntivo renderebbe l’enunciato più dubbio o incerto rispetto all’indicativo? E, viceversa, l’indicativo garantisce una certezza che il congiuntivo non potrebbe garantire? L’uso dell’indicativo rischia di indurre il lettore a interrogarsi circa il carattere più o meno vincolante dell’indicativo rispetto al congiuntivo. Il modo congiuntivo sarebbe qui al posto giusto e non renderebbe l’enunciato meno chiaro dell’indicativo: anzi, la prassi linguistica sarebbe rispettata e recepita come del tutto normale, senza che si affaccino ipotesi o dimensioni più remote rispetto all’uso dell’indicativo. La rappresentanza deve chiaramente avviare un procedimento soltanto se lo Svizzero all’estero si trova di fatto in situazione d’emergenza. Se invece si volesse esprimere l’idea che la rappresentanza debba agire già solo se sussiste l’ipotesi (sia pur remota) che si trovi in tale situazione, allora bisognerebbe dire «… che uno Svizzero all’estero possa trovarsi in situazione d’emergenza».

Art. 67 cpv. 5 dell’ordinanza del 1° novembre 2017 sulla promozione dell’energia (RS 730.03):

«5 Per impianti a gas di depurazione s’intendono gli impianti per lo sfruttamento dei gas di depurazione prodotti dagli impianti di depurazione delle acque reflue dell’ente pubblico per la produzione di elettricità e calore, indipendentemente dal fatto che in tali impianti vengano fatti fermentare anche cosubstrati.»

[25]

Senza congiuntivo ci troveremmo davanti a un dato di fatto, sempre valido: la fermentazione di cosubstrati sarebbe una funzionalità intrinseca di questo tipo di impianto. In realtà non è così: si tratta di un’eventualità e quindi va usato il congiuntivo.

5.1.3. «A meno che»

[26]

La costruzione «a meno che» vuole il congiuntivo e richiede (normalmente) il «non» eufonico. In questo caso, usare l’indicativo in un atto normativo sarebbe veramente contrario al comune sentire; il congiuntivo va dunque usato in ogni caso. Il problema di questa espressione è però il «non» eufonico. Il noto adagio «evitare la costruzione ‹a meno che› negli atti normativi» (noto almeno nella legistica applicata alla legislazione federale in lingua italiana) ha il suo perché, ben evidenziato in questo esempio di un atto normativo internazionale (la versione originale è quella francese):

art. 17 par. 1 lett. a dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 17 luglio 1998 (RS 0.312.1):

«1. Con riferimento al decimo comma del preambolo ed all’articolo 1, la Corte dichiara improcedibile il caso se:

a) sullo stesso sono in corso di svolgimento indagini o procedimenti penali condotti da uno Stato che ha su di esso giurisdizione, a meno che tale Stato non intenda iniziare le indagini ovvero non abbia la capacità di svolgerle correttamente o di intentare un procedimento;»

«1. Eu égard à al. 10 du préambule et à l’art. 1, une affaire est jugée irrecevable par la Cour lorsque:

a) l’affaire fait l’objet d’une enquête ou de poursuites de la part d’un État ayant compétence en l’espèce, à moins que cet État n’ait pas la volonté ou soit dans l’incapacité de mener véritablement à bien l’enquête ou les poursuites;»

«1. Im Hinblick auf Absatz 10 der Präambel und Artikel 1 entscheidet der Gerichtshof, dass eine Sache nicht zulässig ist, wenn [:]

a) in der Sache von einem Staat, der Gerichtsbarkeit darüber hat, Ermittlungen oder eine Strafverfolgung durchgeführt werden, es sei denn, der Staat ist nicht willens oder nicht in der Lage, die Ermittlungen oder die Strafverfolgung ernsthaft durchzuführen;»

[27]

Ciò che si vuole esprimere è una negazione: lo Stato non intende e non ha la capacità. Con «a meno che … non», dove il «non» eufonico (proprio perché tale) non ha una valenza negativa, si viene a dire praticamente il contrario quanto alla procedibilità della Corte: se lo Stato intende procedere alle indagini e ne ha la capacità, allora il caso diventa procedibile per la Corte, il che sarebbe assurdo. In realtà il caso diventa procedibile per la Corte se lo Stato non intende procedere alle indagini o non ne ha la capacità. La seguente formulazione potrebbe forse essere più adatta, anche se il dubbio non sarebbero fugato: «… salvo/sempre che tale Stato non intenda iniziare le indagini ovvero non abbia la capacità…». Ma per questo esempio la variante più chiara userebbe l’indicativo, intervenendo a livello della congiunzione: «…, ma soltanto se tale Stato non intende iniziare le indagini ovvero non ha la capacità di…». Nei testi normativi è dunque opportuno evitare «a meno che» sia perché richiede il «non» eufonico che genera spesso ambiguità sia perché all’uso del congiuntivo vi sono alternative con l’indicativo che risultano più chiare.

5.2. Esempi della legislazione federale

5.2.1. Varianti con e senza congiuntivo: equivalenti?

[28]

La raccomandazione di evitare il congiuntivo a favore dell’indicativo o di altre forme negli atti normativi può essere seguita con profitto in alcuni casi, segnatamente quando la formulazione alternativa non crea problemi (che magari non ci sarebbero con il congiuntivo). Vediamo più da vicino tre varianti di una stessa disposizione (immaginaria):

«L’autorità competente può chiedere al proponente che le fornisca la documentazione entro 15 giorni.»

«L’autorità competente può chiedere che il proponente le fornisca la documentazione entro 15 giorni.»

«L’autorità competente può chiedere al proponente di fornirle la documentazione entro 15 giorni.»

[29]

Le tre varianti sono senz’altro equivalenti nel loro significato e negli effetti che esplicano. Se si vuole evitare il congiuntivo, la terza variante va bene – ma non è più chiara delle altre. Le prime due varianti, con il congiuntivo, sono almeno altrettanto univoche.

[30]

Questo esempio della legislazione federale (in un disegno di atto modificatore) permette di differenziare l’uso dei due modi verbali in questione:

art. 16j della legge del 24 giugno 1902 sugli impianti elettrici (RS 734.0)

«Qualora l’approvazione dei piani per un impianto d’interesse nazionale ai sensi dell’articolo 15d capoversi 2 e 3 o per una linea avente lo scopo di raccordare un impianto di interesse nazionale ai sensi dell’articolo 12 della legge del 30 settembre 2016 sull’energia dovesse essere impugnata, i tribunali decidono per quanto possibile nel merito ed entro 180 giorni dalla conclusione dello scambio di scritti.»

[31]

Per evitare il congiuntivo in questo periodo ipotetico si può usare la congiunzione «se» al posto di «qualora». In questo caso l’uso dell’indicativo è opportuno in quanto il congiuntivo, richiesto da «qualora», può di fatto indurre in equivoco. La formulazione «dovesse essere impugnata» esprime una componente remota che va oltre la mera ipotesi. Sarebbe dunque meglio dire, anche per mantenere il parallelismo con l’indicativo del verbo nell’apodosi:

«Se l’approvazione dei piani [...] è impugnata, i tribunali decidono [...]».

5.2.2. Congiuntivo opportuno e necessario

[32]

In questo capitolo passiamo in rassegna alcuni esempi della legislazione federale in cui l’uso del congiuntivo si giustifica per motivi prettamente semantici, in opposizione all’uso dell’indicativo. Le differenze nell’uso dei due modi verbali si manifestano sia a livello della correttezza materiale sia nel diverso grado di chiarezza.

Art. 7 cpv. 2 della legge del 16 giugno 2017 sui fondi di compensazione (RS 830.2):

«2 [Il consiglio di amministrazione è] composto di 11 esperti del ramo che garantiscano un’attività irreprensibile. […]»

«2 Er besteht aus elf fachkundigen Mitgliedern; diese müssen Gewähr für eine einwandfreie Geschäftstätigkeit bieten. […]»

«2 Il est composé de onze membres qualifiés qui garantissent l’exercice d’une activité irréprochable. […]»

[33]

Il congiuntivo esprime qui la prescrittività del requisito preliminare posto dalla norma, presentandolo (anche) in chiave di auspicio. L’indicativo descriverebbe il requisito dandolo per scontato nei membri nominati nel consiglio di amministrazione oppure assimilerebbe la disposizione a una definizione (cfr. in proposito Höfler 2024, 95). Pur avendo la versione francese la stessa forma per l’indicativo e il congiuntivo, possiamo presumere che «garantissent» sia il modo verbale congiuntivo, usato in maniera analoga all’italiano. Si osserverà inoltre che la formulazione della versione tedesca, che separa due frasi con il punto e virgola, è legisticamente più corretta in quanto esprime due norme distinte: il numero dei membri e le garanzie che questi devono dare. Volendo conferire la stessa struttura alla versione italiana, la seconda frase potrebbe utilizzare il modale «dovere» («…; questi devono garantire un’attività irreprensibile»), ma così si presenterebbe la problematica questione della valenza deontica delle disposizioni degli atti normativi (su cui si veda in particolare Egger 2019, 188–201).

Art. 118b cpv. 1 lett. b della legge del 23 giugno 2006 sugli investimenti collettivi (RS 951.31):

«1 Un investimento collettivo di capitale che dispone di un’autorizzazione o di un’approvazione della FINMA può rinunciarvi se:

a. […]; e

b. è garantito che gli interessi degli investitori siano tutelati.»

«1 Eine kollektive Kapitalanlage, die über eine Bewilligung oder Genehmigung der FINMA verfügt, kann diese zurückgeben, wenn:

a. […]; und

b. sichergestellt ist, dass die Interessen der Anlegerinnen und Anleger gewahrt werden

[34]

Con l’indicativo sembrerebbe di capire che gli interessi debbano essere tutelati adesso, cosa che è implicita visto che vi è un’autorizzazione o un’approvazione della FINMA (l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari), che in tal senso funge da garanzia. Qui si tratta invece di fare in modo che gli interessi siano tutelati dopo la rinuncia a un’autorizzazione o a un’approvazione della FINMA; quindi va usato il congiuntivo. Lo stesso effetto si potrebbe forse raggiungere anche usando il futuro («saranno tutelati») oppure, e magari meglio, sostituendo «venire» a «essere» ma mantenendo il congiuntivo, sottolineando così lo sforzo che andrà profuso: «vengano tutelati» (ma anche «verranno tutelati»). Si noti peraltro che la versione tedesca non ha «gewahrt sind» bensì «gewahrt werden», a suffragio della dinamicità insita nell’azione di garantire gli interessi.

Art. 274h cpv. 5 dell’ordinanza del 27 giugno 1995 sulle epizoozie (RS 916.401):

«5 Il veterinario cantonale è tenuto a cercare apicoltori che accettino di utilizzare Apinella. La loro selezione dovrebbe, nella misura del possibile, consentire una testimonianza rappresentativa della presenza del piccolo coleottero dell’alveare nel Cantone. […]»

[35]

Usando l’indicativo sembrerebbe che gli apicoltori in questione (cioè quelli che accettano di usare il sistema d’informazione elettronico chiamato «Apinella») esistano già – forse registrati in quanto tali ad esempio in una banca dati –, ma in realtà il veterinario cantonale deve indagare e «reclutarli»: in sostanza deve chiedere attivamente agli apicoltori se sono disposti a utilizzare Apinella e poi selezionare un certo numero tra quelli che rispondono positivamente. Per esprimere questa dinamica, che implica la «selezione» di cui al secondo periodo, è necessario usare il congiuntivo.

Art. 14 cpv. 6 della legge dell’8 novembre 1934 sulle banche (RS 952.0):

«6 Ogni titolare di buoni di partecipazione può proporre all’assemblea generale che sia eseguita una verifica speciale, in quanto ciò sia necessario per l’esercizio dei suoi diritti. […]»

[36]

Se si volesse evitare il congiuntivo nella prima parte del periodo usando l’infinito («proporre … di eseguire una verifica speciale»), la disposizione attribuirebbe l’obbligo di eseguire la verifica all’assemblea generale stessa, il che sarebbe del tutto sbagliato (al limite si potrebbe dire «… di far eseguire…», ma forse si restringerebbe troppo il campo). Nell’uso del congiuntivo non vi è nulla di ambiguo o incerto. Inoltre, usando nella seconda parte l’indicativo in relazione a «in quanto» (che equivale a «per quanto») avremmo «in quanto ciò è necessario»: così facendo la disposizione fornirebbe una spiegazione (oggettiva), cosa che normalmente esula da un atto normativo.

Art. 66a cpv. 1 dell’ordinanza del 30 novembre 2012 sul CO2 (RS 641.711):

«Con l’impegno di riduzione, il gestore si impegna a:

  1. a. conseguire un aumento della propria efficienza in termini di emissioni di gas serra in linea con il proprio obiettivo di efficienza in termini di emissioni di gas serra desunto dalla convenzione sugli obiettivi secondo l’articolo 41 o 46 capoverso 2 LEne, che tuttavia ammonti annualmente ad almeno il 2,25 per cento rispetto al valore iniziale della convenzione sugli obiettivi (impegno di riduzione con obiettivo di efficienza in termini di emissioni di gas serra); oppure
  2. b. ottenere un effetto globale dei propri provvedimenti in linea con il proprio obiettivo basato sui provvedimenti desunto dalla convenzione sugli obiettivi secondo l’articolo 41 o 46 capoverso 2 LEne, che tuttavia corrisponda annualmente ad una riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 2,25 per cento rispetto al valore iniziale della convenzione sugli obiettivi (impegno di riduzione con obiettivo basato sui provvedimenti).»
[37]

Il congiuntivo indica che si tratta di un dato auspicato, e che quindi viene ad essere prescritto, ed esclude che si tratti di un dato di fatto. Conforta questa lettura anche l’uso di «tuttavia», che esprime una condizione, una riserva. Con l’indicativo si esprimerebbe un dato di fatto, nel qual caso rimarrebbero comunque poco chiari il significato e la funzione di «tuttavia». Un’alternativa potrebbe essere l’uso del modale «dovere» («… che tuttavia deve ammontare annualmente ad almeno…» e «… che tuttavia deve corrispondere annualmente ad almeno …»), per la quale si veda tuttavia la riserva formulata sopra a proposito dell’esempio dell’articolo 7 capoverso 2 della legge sui fondi di compensazione.

6. Conclusioni

[38]

Le guide alla scrittura degli atti normativi bandiscono il congiuntivo da questa tipologia testuale. Non giustificano il rifiuto dicendo che questo modo verbale è in declino nel linguaggio comune (come talvolta capita di sentire e leggere) e quindi va evitato anche nel linguaggio giuridico, ma affermano che il congiuntivo esprime dubbi e incertezze che non sono auspicabili in un testo giuridico: così facendo, confortano di fatto l’uso del congiuntivo nel linguaggio comune in quanto vettore di significati disgiuntivi dall’indicativo. Non si vede perché il congiuntivo non possa o non debba svolgere la stessa funzione anche negli atti normativi. Il congiuntivo, a dispetto della sua presunta carica ambigua, può essere determinante nella formulazione di una disposizione che, quantomeno nel caso ideale, deve essere univoca. Esso va dunque usato là dove risulti necessario e opportuno per esprimere una disposizione con una chiarezza che l’indicativo non potrebbe garantire. L’indicativo, dal canto suo, può senz’altro essere usato al posto del congiuntivo, cambiando eventualmente la congiunzione che lo richiede introducendo una frase non autonoma, là dove il risultato è equivalente.

[39]

Va pure detto che gli atti normativi sono tendenzialmente paratattici: il congiuntivo è di fatto poco presente perché mancano solitamente gli elementi linguistici (congiunzioni ecc.) che determinano l’ipotassi e introducono frasi non autonome e che, spesso, vogliono il congiuntivo. Ma il congiuntivo non è opportuno e necessario, nonché talvolta obbligatorio, soltanto in relazione alle costruzioni sintattiche che ne richiedono l’uso ma anche in presenza di determinate esigenze, in particolare per esprimere ad esempio qualcosa che va fatto o può prodursi nel futuro, o ancora qualcosa che sia auspicato. In questi casi non è sempre agevole trovare una formulazione equivalente con l’indicativo, che per giungere allo stesso risultato richiederebbe l’impiego di altri elementi, ad esempio avverbi, che potrebbero introdurre aspetti e sfumature non pertinenti.

[40]

Sconsigliare l’uso del congiuntivo negli atti normativi sembra a prima vista ragionevole, soprattutto se si sposa la tesi (tutta da dimostrare) della natura dubbia e incerta del congiuntivo in quanto tale. In realtà questo modo verbale ha in sé il prezioso potenziale di contribuire a produrre atti normativi chiari, e questo potenziale deve essere sfruttato, ovviamente cum grano salis, e non oscurato.

[41]

A proposito delle incertezze nell’uso del congiuntivo nel linguaggio comune, Della Valle/Patota 2009 affermano che «i grammatici possono descrivere una tendenza, ma non prescrivere una regola» (73). E allora potrebbe venire spontaneo chiedersi come possano pensare giuristi e funzionari di prescrivere una regola che vieta – o, appunto, vieti – l’uso del congiuntivo negli atti normativi. Lo richiede, evidentemente, la tipologia stessa del testo in questione, che proprio dalla normatività «passiva» della sua genesi materiale e formale trae gran parte della sua forza (Egger 2019, 127 segg.). In quest’ottica, va pertanto raccomandato di usare tendenzialmente l’indicativo al posto del congiuntivo, il che rende spesso il discorso (più) chiaro. Ma nei casi in cui l’uso di uno o dell’altro modo verbale modifica il senso dell’enunciato occorre optare per quello adatto che esprima esattamente ciò che si vuole dire e che, possibilmente, assicuri la chiarezza.


Giovanni Bruno, Cancelleria federale, Servizi linguistici centrali, Divisione italiana, Bellinzona, e-mail: giovanni.bruno@bk.admin.ch


Riferimenti bibliografici

  • Bruno, Giovanni (2013): Lo strumento «Omnia»: quanto e come normare la scrittura amministrativa?, in: Egger, Jean-Luc / Ferrari, Angela / Lala, Letizia (ed.), Le forme linguistiche dell’ufficialità. L’italiano giuridico e amministrativo della Confederazione Svizzera, Bellinzona, pagg. 135–150.
  • Cancelleria Federale Svizzera (2023a): Direttive di tecnica legislativa (DTL), Berna.
  • Cancelleria Federale Svizzera (2023b): Istruzioni della Cancelleria federale per la redazione dei testi ufficiali in italiano, Berna.
  • Chiappini, Loredana / De Filippo, Nuccia (2014): Congiuntivo, che passione! Teoria e pratica per capire e usare il congiuntivo in italiano, Bologna.
  • Cortelazzo, Michele A. (2021): Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione, Roma.
  • Cortelazzo, Michele A. / Pellegrino, Federica (2002): Trenta regole per scrivere testi amministrativi chiari, in: Guida agli Enti Locali, 20, 25 maggio, pagg. XXV–XXXV.
  • Della Valle, Valeria / Patota, Giuseppe (2009): Viva il congiuntivo! Come e quando usarlo senza sbagliare, Milano.
  • Egger, Jean-Luc (2019): A norma di (chi) legge. Peculiarità dell’italiano federale, Milano.
  • Gualdo, Riccardo (2023): La confusione di un istante: la testualità negli atti di parte, in: Dell’Anna, Maria Vittoria (ed.), La lingua e la scrittura forense: storia, temi, prospettive, Torino, pagg. 101–117.
  • Höfler, Stefan (2024): Normenredaktion. Studien zur Textlinguistik der Rechtsetzung, Zurigo/San Gallo.
  • Libertini, Raffaele (ed.) (2011): Il linguaggio e la qualità delle leggi, Padova.
  • Lubello, Sergio (2021): L’italiano del diritto, Roma.
  • Mancini, Daniela / Marani, Tommaso (2015): Il congiuntivo. Grammatica, esercizi, curiosità, Firenze.
  • Mortara Garavelli, Bice (2001): Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche sui testi giuridici italiani, Torino.
  • Sabatini, Francesco ([1990] 2011): Analisi del linguaggio giuridico. Il testo normativo in una tipologia generale dei testi, in: Sabatini, Francesco, L’italiano nel mondo moderno, Napoli, II, pagg. 273–320.
  • Serianni, Luca (2006): Prima lezione di grammatica, Roma-Bari.
  • Sgroi, Salvatore Claudio (2013): Dove va il congiuntivo? Ovvero il congiuntivo da nove punti di vista, Torino.
  • Ufficio Federale Di Giustizia (2019): Guida di legislazione. Guida all’elaborazione degli atti normativi della Confederazione, Berna.

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