La scommessa di questo libro, assai ardita, è retoricamente ben condensata nella brillante polisemia del titolo. Si tratta di spiegare come va concepito ed elaborato lo strumento governativo per eccellenza (faire la loi) senza tralasciare nessun elemento pertinente, ed è quanto ci si aspetta appunto da un trattato (traité de légistique). Ma se il trattato è solitamente un’esposizione dettagliata di una disciplina con spiccato taglio descrittivo e didattico, qui l’intenzione principale non è di fare il punto sullo stato dell’arte, quanto invece di ripensare a fondo l’atto legislativo per rielaborarlo (refaire la loi) in modo da renderlo adeguato alle esigenze della società attuale, che sono quelle dettate da nuove forme di normatività come il diritto mite (à l’ère du droit souple). Quindi trattato sì, ma con ambizioni riformatorie che potrebbero essere quelle di un pamphlet. Una riforma però non solo formale intesa a fornire magari la ricetta della legge ben fatta, ma piuttosto riforma normativa o politica in senso lato perché si mira in definitiva a ridare a questo atto statuale l’autorità che gli spetta e che è andata ultimamente scemando (la loi ne fait plus la loi), per permettergli dunque di ridettare legge (refaire la loi).
Il punto di partenza dell’analisi svolta è dunque quello comune a diversi testi pubblicati negli ultimi anni, ma a differenza di altre diagnosi sulla crisi della legge (ricordiamo ad esempio quella di cui riferivamo in LeGes 28 (2017) 2 a cura di Pierre Albertini, La Crise de la loi. Déclin ou mutation?, Parigi 2015) l’originalità consiste nel rimedio proposto: una cura lunga (più di 700 pagine), lenta (la materia si articola in più di 390 capitoli e sottocapitoli) e capillare (circa 300 concetti distinti nell’indice analitico). Al di là dei dati numerici, che danno comunque un’idea della mole dottrinale dell’opera, vi è in questo trattato una fiducia di fondo nello strumento legislativo, uno strumento che per ritrovare la sua pertinenza (nozione centrale su cui torneremo) va però ripensato in tutta la sua complessità, che è anche preziosa fragilità (IX e 302).
Da qui l’esame della legge sotto diverse prospettive, come quella della razionalità, della pertinenza, della strategia, dell’efficacia, della chiarezza e della valutazione. Ognuna di queste prospettive è indagata a fondo avvalendosi dei risultati più recenti della ricerca e adottando ove opportuno un taglio interdiscipinare; non mancano ad esempio apporti di scienze parallele come la psicologia, la filosofia e la linguistica. Questo approccio poliedrico è ulteriormente arricchito dal costante inserimento del discorso in un’ottica diacronica che guarda sia al passato – frequenti i riferimenti ad esempio alle posizioni di Jeremy Bentham, Pellegrino Rossi o di Gaetano Filangeri, in parte sorprendenti per la modernità di cui danno prova –, sia all’avvenire, con un’attenzione anche alle tendenze che vanno delineandosi, come le velleità di norme dinamiche ad adattamento continuo grazie alle tecnologie di utilizzazione dei big data. L’impostazione è inoltre anche comparativa perché considera spesso altre realtà normative come quella unionale, francese, tedesca e statunitense.
Dicevamo della lentezza. La lentezza del processo legislativo è sovente criticata e giudicata poco adeguata alla dinamicità della società contemporanea che chiede reazioni rapide. Garantisce tuttavia la legittimità democratica della legge e, ricorda l’autore, la funzione essenziale dell’atto normativo non è di fornire risposte immediate ad esigenze sporadiche ma di proporre soluzioni durature a veri problemi (148–149). La lentezza consente poi anche di analizzare a fondo i problemi e, in questo lavoro, di operare le distinzioni necessarie. Intelligere est distinguere dicevano i filosofi medievali: la capillarità analitica del presente trattato permette di chiarire molti aspetti e di proporre distinzioni illuminanti, come ad esempio quella tra efficacia, efficienza ed effettività della legge (461–466), tra vari tipi di chiarezza del testo normativo (547–558) o ancora quella tra concetti più ampi come la normazione, la regolazione o regolamentazione, la governanza, la legistica, la legisprudenza e via dicendo.
Vale la pena di soffermarsi sulla nozione di pertinenza della legge, sovente ignorata o confusa con la sua efficacia ed efficienza. La legge può essere efficace ma poco pertinente perché pur raggiungendo i suoi obiettivi non risolve il problema per il quale era stata adottata (468). Per questo l’ideazione di ogni disposto normativo dovrebbe innanzi tutto individuare la vera causa del problema da risolvere, che non sempre coincide con quella più immediata. L’analisi della pertinenza del problema è del resto la parte più delicata della valutazione prospettica (216), anche perché non può basarsi unicamente su dati oggettivi o approcci univoci come quelli esclusivamente quantitativi (486). Il problema politico ha sempre una componente dialettica, narrativa e simbolica e il legislatore non può pertanto fare affidamento esclusivamente su metodi tecnocratici o a pianificazioni scientifiche ad oltranza, supportate magari viepiù con strumenti dell’intelligenza artificiale (217). Questo spiega perché l’autore insiste, a ragione, sulla dimensione simbolica e narrativa dello strumento legislativo. In una tradizione razionalista come quella occidentale e in un contesto sociale dominato da strumenti gestionali automatizzati che tendono a programmare ogni evento prima ancora che si verifichi e a ridurre i metodi in processi lineari vi è la tendenza ad affrontare i problemi della società secondo schemi causali univoci e a razionalizzare o tecnicizzare ad oltranza comportamenti, riflessi psicologici, scelte personali e via dicendo. Attenzione, sottolinea l’autore, la legislazione non è una scienza esatta e la società non si riduce a un laboratorio, tanto più che la temperie della post verità tende viepiù a screditare presunti discorsi oggettivi. Proprio in questo ordine di idee, la razionalità della legge è cambiata ma resta pur sempre ratio, adattandosi alla razionalità comunicativa propria delle società aperte e accogliendo altre forme di normatività, come quella incitativa, la spinta gentile («nudge», o «coup de pouce»), l’autoregolazione, l’esemplarità, la cooperazione, l’atto materiale e via dicendo (istruttivo in proposito il panorama degli strumenti d’azione a disposizione dello Stato, schematizzato a pag. 253).
Sicché ripensare la legge significa in primo luogo metterne in dubbio la forza mitica che ancora sembra contraddistinguerla: una delle ragioni della crisi della legge, ci dice indirettamente l’autore, risiede nell’idea stessa che ce ne facciamo come unica ed immutabile fonte normativa e strumento imperativo di regolamentazione della società; in realtà nel contesto attuale occorre concepire la legge come una sorta di strumento fluido di coordinamento dell’interazione tra molteplici nomodotti eterogenei («la législation est là pour orchestrer la régulation», 34), giacché la norma primaria rigida ed imperativa non ha più l’esclusività della disciplina sociale.
Il trattato pone in giusto risalto l’importanza della dimensione linguistica delle normative. Essenziale in proposito la distinzione tra chiarezza normativa e chiarezza linguistica di una disposizione, due concetti che sovente si escludono reciprocamente, sicché una legge ben scritta sarà quella che riesce a contemperare i due principi in un giusto equilibrio (549). L’esigenza di chiarezza non risulta soltanto da uno scrupolo formale – benché l’eleganza della legge, pegno di razionalità giuridica, non vada trascurata – ma tende anche a garantire, oltre al rispetto del principio di legalità e del divieto dell’arbitrario (571–573), l’impatto reale che il disposto riuscirà ad avere sul destinatario e indirettamente la corretta interpretazione da parte del giudice (551). Sono principi che valgono per le leggi e forse ancor più per altre forme di normatività mite o indiretta nelle quali la forza persuasiva e incitativa del dettato assume una valenza cruciale: ci si può ad esempio chiedere quale sarebbe l’impatto comportamentale della constatazione (equivalente in realtà a una raccomandazione implicita di astensione, 286) figurante sui pacchetti di sigarette «il fumo uccide» se fosse formulata diversamente. All’autore non sfuggono poi le grandi potenzialità, in termini di qualità testuale ed efficienza lavorativa, dell’approccio plurilingue nella redazione dei testi normativi; sottolinea però giustamente che in questo campo non si può improvvisare e che il plurilinguismo va integrato in modo deciso e duraturo in un’apposita cornice istituzionale (597). Degne di nota anche le osservazioni approfondite, pur se non sempre condivisibili (come accettare l’ircocervo «toustes» quale equivalente della diade «tous et toutes»?, 585), sulle risposte date sinora dalle istituzioni cantonali e federali alle istanze del pari trattamento linguistico di uomo e donna. Talvolta l’autore pare tuttavia dimenticare quanto peraltro non si stanca di ripetere dopo Aristotele, ossia che la legge «est, dans son sens matériel et par sa définition même, un ouvrage général et abstrait» (601, ma anche 107 e passim), come più astratte ancora, aggiungiamo noi, sono le fattispecie contenute nelle sue disposizioni.
Sono queste soltanto alcune riflessioni suscitate da un testo illuminante per il suo acume e la sua precisione, ricco per la generosa densità euristica e virtuosamente labirintico per i numerosi rimandi inter ed intratestuali che consentono di muoversi al suo interno come nelle pagine di un’enciclopedia. Abbiamo esordito osservando che il presente libro è una sorta di scommessa ardita; concludiamo constatando, ed è una «descrizione incitativa» (286) destinata ai potenziali lettori, che la scommessa è vinta.
Jean-Luc Egger, Cancelleria federale, Servizi linguistici centrali, Divisione italiana, Berna, e-mail: jean-luc.egger@bk.admin.ch.