Comptes-rendus DOI: 10.38023/5c3cd033-ef31-4547-90d4-6a894d37fa02

Recensione: Dario Mantovani (dir.), L’équité hors du droit, Editions du Collège de France, Paris 2023, pp. 247

Jean-Luc Egger
Jean-Luc Egger

Proposition de citation: Jean-Luc Egger, Recensione: Dario Mantovani (dir.), L’équité hors du droit, Editions du Collège de France, Paris 2023, pp. 247, LeGes 34 (2023) 3


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Il volume riunisce gli atti dell’omonimo convegno tenutosi nel maggio 2021 al Collège de France e dedicato alla nozione di equità, un concetto centrale nella riflessione giuridica (e della definizione stessa del diritto, ius est ars boni et aequi, recita la prima pagina del Digesto) e del quale per il tramite dei diversi contributi si vuole fornire una sorta di «lexique ouvert» (Mantovani, 13) oltre che un chiarimento concettuale che ne mostri la forza e la fecondità anche al di fuori del suo alveo teorico primigenio.

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Impresa non facile, a cominciare dalla traduzione della parola greca che ne sarebbe all’origine, l’epieikeia. È infatti Aristotele che, traendo gli insegnamenti da una tradizione già ricca in ambito letterario (da Omero a Sofocle fino a Gorgia e Antifone di Atene), dove il termine aveva diverse connotazioni e designava ad esempio indulgenza, moderazione, o ancora clemenza (Hoffmann, 23-47), ne ha precisato il significato filosofico nell’Etica nicomachea e nella Retorica, facendone un contrappeso alla rigidità e generalità della legge. Da allora, l’epieikeia è considerata il correttivo che chi è chiamato ad applicare la legge apporta alle sue disposizioni per adeguarle al caso particolare qualora quest’ultimo non corrisponda esattamente a quanto previsto nei termini universali e generali della legge. In questo senso, il suo equivalente corrente, equità, ha trovato ampio uso in filosofia e in diritto e figura ancora oggi ad esempio nel titolo preliminare del nostro Codice civile, laddove si invita il giudice a «decidere secondo il diritto e l’equità quando la legge si rimette al suo prudente criterio» (art. 4). Ma attenzione, ci avverte il curatore del volume e organizzatore del convegno Dario Mantovani, sarebbe un errore considerare l’epieikeia aristotelica un equivalente pacifico dell’equità, ignorando segnatamente le specificità della aequitas dei romani; quest’ultima non va intesa tanto come operazione correttiva nell’applicazione della norma, bensì piuttosto come il criterio cui il legislatore si ispira quando adotta le norme (Mantovani, 19). È un criterio che informa tutta la società a partire dal nucleo famigliare e che assume il suo senso pieno in una visione globale della convivenza umana. Questo spiega perché i romani votavano un culto pubblico anche alla dea aequitas, «divinità specializzata nell’attuazione di un aspetto dell’ambito generale gestito da Iustitia» (Scheid, 59), ben distinta dunque dalla Iustitia. Il fatto che l’epieikeia aristotelica continui a essere tradotta con equità, fatta eccezione di alcune recenti proposte divergenti quali onestà (Hoffmann, 29) o fairness (Hoffmann, 28), comporta il rischio di confondere le due nozioni, ma anche quello, forse più grave, di occultare l’introducibilità di un termine appropriandosene per il tramite della traduzione, riservando quindi a questo termine un trattamento linguistico che ne contraddice il suo senso profondo: equità non è una traduzione «equa» del termine greco epieikeia. È questo uno dei tanti interrogativi e spunti stimolanti che il volume propone.

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Restando alle tematiche linguistiche, il concetto di equità può contribuire a chiarire la relazione che intercorre tra diverse lingue in un regime che si vuole veramente plurilingue, imponendo una ricognizione del concetto di equivalenza dei testi, da svolgere sulla scorta di riflessioni medioevali – eppur modernissime – relative al rapporto tra la pluralità delle lingue e il loro potenziale semantico (Egger, 186-190). Ne risulta pure una ridefinizione dell’operazione traduttiva, che in un contesto di equità linguistica subisce una radicale metamorfosi: da operazione di trasposizione tra codici diversi si fa dialogo e ponderazione interlinguistici (Egger, 195).

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Il legame tra equità e linguaggio traspare poi in modo netto nell’amministrazione della giustizia. Come illustra la novella di Anatole France L’affaire Crainquebille, una insufficiente padronanza dell’uso della parola può farci diventare vittime di ingiustizia da parte delle stesse autorità preposte all’applicazione del diritto (Tiercelin, 97-122). «Gare au langage», ammoniva Valéry, strumento di potere e conoscenza, ma anche vettore di dissimulazione e di discriminazioni, sicché una società potrà ambire all’equità soltanto se saprà mettere in atto strumenti concreti per prevenire le ingiustizie epistemiche, in particolare definendo in modo chiaro la quantità di sapere a cui ognuno deve poter avere accesso, grazie soprattutto all’istruzione (117). E non è soltanto l’analisi filosofica a sottolineare il ruolo essenziale assunto dalla scuola per la condivisione e l’accesso al sapere (122); studi economici sul nesso tra equità e innovazione nelle nostre economie moderne giungono alla stessa conclusione. Come spiega Philippe Aghion, se è vero che l’innovazione imprenditoriale aumenta le diseguaglianze di reddito facendo accedere gli inventori alla cerchia ristretta del «top 1 %» dei redditi elevati, essa si rivela comunque virtuosa poiché non accresce le disuguaglianze globali della società, incoraggia la mobilità sociale (contrastando in questo l’azione delle lobby) e stimola la crescita della produttività (Aghion, 149), di modo che una delle chiavi per conciliare l’innovazione e l’equità non può che essere un sistema educativo eccellente ed inclusivo che offra ad ogni individuo le stesse opportunità di accedere alla qualificazione e all’innovazione (154).

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Che l’equità sia strettamente connessa alla lingua stupirà meno se si considera la sua importanza nella retorica. L’analisi dello sviluppo di questa nozione nella riflessione di Cicerone mostra che la aequitas più che un argomento per risolvere i casi giuridici opposto alla lettera («in eius modi causis alias scriptum, alias aequitatem defendere», Guérin, 70) diventa qualitas absoluta, comprendendo l’insieme delle operazioni retoriche volte a valutare la legittimità dell’atto posto in giudizio. Al di là della fecondità e valore profondo del concetto anche in questo campo, dalla lettura attenta del De inventione e dei Topica traspare l’elevato livello di tecnicità che aveva raggiunto la tecnica argomentativa ciceroniana, illustrata peraltro in modo icastico in due schemi che mostrano sia le constitutiones, sorta di algoritmi che consentono all’oratore di stabilire quale argomento scegliere in funzione della facilità a confutare l’argomento opposto (Guérin, 74), sia i topoi argomentativi utilizzabili nella categoria delle qualità (Guérin, 85).

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Ma, dicevamo, l’equità dovrebbe in realtà permeare la società tutta. La riflessione sociologica ha indagato a fondo il rapporto tra uguaglianza, divisione del lavoro, parità di opportunità, meritocrazia ed equità. Se si afferma che le pretese di giustizia presuppongono il riconoscimento dei meriti individuali, occorre essere coscienti che questi ultimi possono essere considerati solo nella misura in cui siano traducibili in termini sociali (Karsenti, 131). Ciò significa che l’individuo di cui preme garantire l’uguaglianza non è la persona in sé, bensì l’individuo costituito in quanto tale quale organo della società, l’individuo «socialmente istituito». In questo senso, l’equità sociale impone «que s’ajustent des individus déjà socialisés à des fonctions que la division du travail fait apparaître, et que les rapports se tissent équitablement au sein même de cette différenciation fonctionnelle» (Karsenti, 136). Da qui la centralità del contratto, quale forma preminente dei rapporti sociali nelle società moderne e antitesi di quell’altra forma di trasmissione della proprietà che è l’eredità: strumento di formazione di una società mobile e dinamica nelle strutture sociali ma anche di trasformazione dell’individuo in persona (Karsenti, 138).

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Scorrendo i diversi contributi si ha comunque l’impressione che l’equità è un principio irrinunciabile per garantire una convivenza umana armoniosa, e questo anche oltre le garanzie fornite dal diritto positivo. Benché quasi tutti gli ordinamenti giuridici vi si riferiscano (senza peraltro definirla), come mostra la dettagliata analisi di diritto comparato presentata da Jean-Louis Halpérin, o anche solo una sintetica indagine nell’ordinamento europeo o francese (Supiot, 238-239), l’equità resta un principio che esula dalla positività delle norme. Come rilevava Aristotele la epieikeia impone di andare oltre la legge («è il giusto che va oltre la legge scritta», Ret. 1374 28); tale ultroneità può essere interpretata come un indebito riferimento a principi giusnaturalistici volti ad integrare il diritto positivo (Halpérin, 234-235) oppure semplicemente come il criterio etico-giuridico da seguire per far fronte a situazioni impreviste, come le decisioni delicate in ambito sanitario che si sono dovute prendere durante l’emergenza pandemica della Covid-19, segnatamente riguardo all’accesso alle cure (Delfraissy/Duée, 155-176), oppure le scelte fondamentali da operare oggi riguardo al futuro ambientale del pianeta (Fonbaustier, 201-218). In entrambi i casi il concetto mostra la sua complementarietà rispetto alla giustizia e al diritto, il che ne giustifica sovente la trasposizione in altri ambiti non giuridici. Tuttavia, come ci avverte Alain Supiot (240-241), il fatto di trasporre (metapherein) concetti e strutture mentali al di fuori del loro ambito originario, appunto l’equità «hors du droit», non è scevro di rischi, soprattutto se abbandonando la sfera del diritto se ne dimentica la struttura ternaria e soggettiva (la giustizia presuppone sempre l’intervento disinteressato di un terzo imparziale, ci ricorda, sulla scorta di Alexandre Kojève e Simone Weil, l’emerito titolare della cattedra Etat social et mondialisation: analyse juridique des solidarités presso il Collège de France, 239) immaginando processi automatizzati che oggettiverebbero, così si crede, l’equità stessa, come la blockchain, il trading ad alta frequenza o la governanza per il tramite dei numeri (Supiot, 243). E non è certo l’ultimo merito di questo denso volume fornirci oltre alle coordinate essenziali dei territori ove incontrare l’equità oggi anche tali preziose indicazioni metodologiche applicabili in altri ambiti.


Jean-Luc Egger, Cancelleria federale, Servizi linguistici centrali, Divisione italiana, Berna, e-mail: jean-luc.egger@bk.admin.ch.


Indice del volume

  • Mantovani, Dario – Introduction. De l’aequitas à l’équité

Première partie. Généalogies : l’équité en Grèce et à Rome

  • Hoffmann, Philippe – L’épieikeia aristotélicienne et la littérature grecque ancienne
  • Scheid, John – L’aequitas est-elle une déesse ? Le culte d’Aequitas
  • Guérin, Charles – L’aequitas dans la rhétorique cicéronienne : émergence, stabilisation et expansion d’une catégorie argumentative

Deuxième partie. Diffractions modernes

  • Tiercelin, Claudine – L’équité : que peut donc bien avoir à en dire le philosophe ?
  • Karsenti, Bruno – L’équité, œuvre de justice : aux sources de la politique de la sociologie
  • Aghion, Philippe – Innovation et inégalités
  • Delfraissy, Jean-François / Duée, Pierre-Henri – L’équité à l’épreuve de la Covid-19

Troisième partie. L’équité hors et dans le droit

  • Egger, Jean-Luc – L’équité linguistique
  • Fonbaustier, Laurent – Équité intergénérationnelle et environnement
  • Halpérin, Jean-Louis – L’équité à l’épreuve du comparatisme
  • Supiot, Alain – L’équité hors du droit : remarques marginales

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